Siete i benvenuti voi pronti al freddo, voi che leggete.
Qui tutto è gelato, anche il rumore.
Ora il freezer è aperto, copritevi. Metto di nuovo le mani dentro, è ancora pieno zeppo che non riesco a vedere il fondo. Tiro fuori un altro oggetto, rovistando un po’.
Vediamo di metterlo a scongelare:
Spingevo le frecce della tastiera del computer con la schiena ricurva sullo schermo e le guance rosse. Le dita correvano per salvare un gruppo di omini roditori che camminavano senza potersi fermare.
Mia madre, prima che mi mettessi a giocare, mi aveva fatto vestire di tutto punto. Premevo le frecce concentrato quando lei entrò in camera e mi chiese di smettere. Non le risposi, ma per guardarla, sbagliai e i pupazzetti finirono uno dopo l’altro nel burrone. Spensi subito prima che si spiaccicassero a terra.
Mi sentivo un po’ come quei cosetti nello schermo, si chiamavano lemmings. Era un giochino per PC in cui dovevi scavare buche sotterranee con gruppi di questi piccoli roditori per portarli alla salvezza. La maggior parte delle volte finivano in un burrone e perdevi. Io non riuscivo a guardare la fine che facevano, mi tappavo le orecchie o abbassavo il volume perché mentre si spiaccicavano per terra emettevano un suono, tipo squittio, triste e macabro. Camminavano ininterrottamente e non potevi fare nulla per fermarli, solo scavare e scavare e scavare. E se non scavavi abbastanza tornavano indietro fino a impazzire e rovesciarsi dentro una buca lo stesso.
Le mani di mia mamma mi stringevano il colletto per aggiustarlo, anche i capelli me li aveva pettinati lei.
Tutto ok? mi chiese. Guardava per terra, io invece provavo a guardarla. Sentivo nella sua voce un suono diverso dal solito, più acuto.
Sì, certo. Dissi.
Mia mamma sorrise guardandomi un attimo. È arrivato papà, allora in bocca al lupo, vedrai ti piacerà.
A me non sarebbe piaciuta. Piuttosto, mi chiedevo, perché mi sarebbe dovuta piacere?
Però ero emozionato. Mi avevano promesso che tutto sarebbe andato bene e che sarebbe stato importante fossi contento pure io. Annuii e alla fine mi venne anche la curiosità, proprio prima di uscire dalla porta di casa e scendere le scale, di come fosse questa signora.
Guardai mia madre che rimase lì, sull’uscio, che stringeva la vestaglia tra le mani. Poi mi disse, Andrea aspetta. L’accenno di curiosità svanì. Sperai che, forse, avesse cambiato idea e che non mi avrebbe mandato. Sparì dalla porta e riapparve con un mazzetto di fiori. Mi stavo dimenticando questi, disse, e me li mise in mano, è un gesto carino aggiunse.
Non capivo dove fosse il gesto carino visto che non ci avevo pensato io. Credetti piuttosto che forse se fosse venuta con me sarebbe andata pure meglio. Ma alla fine, da quanto capii, lei non c’entrava più molto con papà.
Lui mi aspettava sulla vespa, avevo i fiori in mano e li guardai per la prima volta dopo aver sceso le scale. Erano quei fiorellini misti, tipici dei fiorai, i primi che vedi esposti. Papà mi salutò, la sua vespa aveva un foro sullo scudo davanti, mi raccontava sempre che gli avevano sparato e, per anni, ci ho creduto. Così salii, attento a non far rovinare i fiori.
Vedrai che ti piacerà, mi disse anche lui.
Come se a me interessasse. A me non importava, a me non importava niente, volevo solo rimanere a casa. Però era bene per tutti fossi contento, così poggiai il mento sulla spalla di mio padre e feci sì con la testa mentre la vespa attraversava il Muro Torto.
C’era vento, facevo attenzione a tenere i fiori senza schiacciarli tra me e papà, controllavo che il vento non si portasse via i petali, dovevano essere perfetti. Guardavo i sanpietrini sotto le ruote della vespetta bianca e immaginai i fiori spiaccicati a terra sotto le gomme. Chissà se mio padre sapeva sgommare, come i motociclisti nei film. Da ragazzo faceva motocross e guidava molto bene quindi immaginai di sì, sai che bella poltiglia di colori e asfalto, dissi a voce bassissima. Ma non potevo presentarmi a mani vuote e comunque lui non mi sentì.
Mi ritrovai a pensare, mentre saltellavo sul sedile della vespa per le buche, che mia madre quanto mio padre non sapevano cosa dirmi. Forse me la sarei fatta piacere per forza questa donna.
Che poi a me sembrava pure andassero d’accordo, alla fine, mamma e papà. Da sempre, tipo amici.
Arrivammo, a casa di questa signora però, non quella di papà, una casa poco lontana da via Principe Eugenio. Non mi ero accorto che con la vespa avevamo superato la gelateria e percorso più strada.
Scesi dalla vespa. Avrei preferito rimanere con mia mamma. Mio padre non mi sembrava così felice, piuttosto mi sembrava distratto. Però non sapevo cosa dire, avevo detto ok a tutto, a mia madre, al vestirmi elegante, ai fiori, ai capelli pettinati come quelli del protagonista del Piccolo Lord; avrei voluto mettermi un’altra maglietta che avevo a casa. Era nera, aveva uno scheletro che andava su uno skateboard in un luna park di notte.
Mi piaceva tanto, ma mia madre me l’aveva requisita. Sosteneva che la morte non si indossa, non è un bel vedere, tantomeno a dodici anni, diceva. A me però piaceva e, al posto della camicia che avevo sotto al golfino blu di tweed, avrei voluto avere quella maglietta con lo skate arancione e rosso e il teschio che rideva.
Il palazzo dove viveva era di quelli alti della Prenestina, non ricordo quanti piani salimmo, ricordo solo che erano tanti. Forse papà aveva deciso di salire a piedi per lasciarmi più tempo. Mentre salivo le scale notai che i fiori si erano un po’ ammosciati. E mi ritrovai a sorridere, riflesso su una finestra interna. Erano perfetti così per l’addio definitivo di mio padre a casa.
Iniziai a sudare un po’. Forse potevo dire a mio padre che volevo andare da McDonald’s, invece di salire lì.
Rimasi in silenzio, immaginavo tutti quei piccoli lemmings indossare la maglietta con la morte che sorrideva e finire in una buca, mi sembrò quasi di sentire il suono simile allo squittire che facevano quando morivano uno dopo l’altro.
Perché lui non mi diceva niente? Forse anche lui era un lemming, a differenza loro però, lui era sempre allegro. Eppure marciava scavando a caso. Perché non cercava la strada con più attenzione? O forse, come tutti intorno a me, scavava e scavava senza capire che non era quella la direzione giusta illudendosi che lo fosse.
Ma non potevo saperlo. Magari mi sarebbe piaciuta, questa signora. Ma a me cosa sarebbe cambiato? Mi sembrava stessi squittendo pure io, tipo lemming. Strinsi forte i fiori, il verde dei gambi ormai ce l’avevo appiccicato sulle mani. Sentivo lo squittio dei lemmings tutto intorno che quasi inciampai su un gradino.
Sarei voluto scappare, far smettere lo squittire di quei mostriciattoli che continuavano a morire uno dopo l’altro. Invece salii un altro gradino, verso quello che mi aspettava, con il sorriso, senza dire niente.
Lei aprì la porta, io strinsi ancora più forte i fiori. Lo squittire cessò di colpo. Fu in quel momento che ricoprii di ghiaccio la lava delle mie guance. Funzionò, per anni. E, come un lemming, finii nel vuoto senza più sentire niente.
Come fai a guidare qualcuno? A crescere un essere umano senza lasciare che si schianti nel vuoto? Ad amare qualcuno senza che si spiaccichi a terra? Beh, se hai mai avuto questi dubbi, qui puoi lasciare il tuo pensiero a scongelare.
I fiori fuori dal freezer hanno ancora la brina intorno, però hanno mantenuto il colore dopo tutti questi anni. È il momento di buttarli via davvero, nei vortici del tempo; del mio passato resteranno gocce d’acqua che mi auguro coltiveranno la forza di mia figlia, tutta quella che io non ho avuto nello scavare davvero verso l’alto, verso il profumo della terra che si scalda sotto il sole.
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Cosa è successo in queste due settimane in cui non ci siamo sentiti?
Per la rubrica “Colazione da Fassi“ che esce ogni martedì e che trovate “Dentro la lampada“ della Scuola di Scrittura Genius, ho trasformato in gelato un lipogramma e anche una delle mie passioni, la boxe. Poi ho fatto un gelato al cioccolato e Gin per Chiara Valerio, ospite della scuola Genius per presentare il suo nuovo libro “Chi dice e chi tace”.
Ah, ho anche iniziato a usare le note di Substack, consigliandovi un libro la domenica, giusto per scongelarvi un po’, libri che mi hanno fatto venire i brividi. Trovate l’appunto cliccando su questo titolo Acqua Viva, di Clarice Lispector e qui invece l’appunto su “Vecchi bambini perduti nel bosco” di Margaret Atwood.
Una puntata profonda e commuovente. Con un augurio finale che trovo meraviglioso. Grazie ancora grazie per condividere parole e ricordi che scaldano il 🩷
Wow, ogni volta mi lasci senza parole. Che puntata stupenda!