Ti do il benvenuto, a te che leggi.
Qui tutto è gelato, anche il rumore.
Ora il freezer è aperto, copriti. Metto di nuovo le mani dentro, è ancora pieno zeppo che non riesco a vedere il fondo. Tiro fuori un’altra cosa che capita tra le mani e le fredda.
Vediamo di metterla a scongelare:
Nei miei sogni c’è sempre stato un aeroporto: sognavo partenze verso posti lontani. Ho smesso di sognarlo dopo la nascita di mia figlia Amelia. Oggi mi sveglia lei, viene dalla sua stanza a mettere la faccia sulla mia per capire meglio se sta crescendo, se è un’entità a sé, se ancora è un’emanazione di carne e ossa del papà e della mamma.
Quei sogni però mi rimanevano così addosso che alla fine, nel 2006, sono partito per un posto lontano.
In fila mi si freddano le mani, quasi saltello fuori dalla vetrata dove c’è una fila di aerei: Virgin, Singapore Airlines, China Eastern. Devo lasciare gli oggetti nel cestino, anche lo zaino. L’aeroporto di Adelaide è pulito e ordinato, piccolo. Sono leggero, ho già fatto il controllo a Roma, perché controllano anche qui? Forse per lo scalo a Singapore, forse perché arrivo da lontano.
Mi tocco le tempie, scottano. Un uomo con le crocs, i bermuda e una polo rosa supera il controllo. Tocca quasi a me. Io resto in piedi ma mi gira la testa. Fuori mi sembra ci sia vento perché alcune palme dal tronco sottile hanno in cima le foglie che si muovono tutte verso destra. Avanzo, un poliziotto mi guarda, io lo guardo.
Mio padre mi ha ripetuto che negli scali delle lunghe tratte bisogna fare attenzione, c’è il rischio mettano droga nei bagagli. Tra i rari consigli del quotidiano, è l'unico che mi ha condiviso per questo viaggio.
Mi levo lo zaino, lo apro, io sono passato per Singapore; l’aeroporto lì ha un campo di girasoli sul terrazzo, forse mi sono distratto per guardarli. Appoggio lo zaino a terra, lo apro, controllo un po’, alzo lo sguardo, il poliziotto continua a guardarmi. Sorrido, lui no. Evito di rovistare, mi ritraggo e chiudo lo zaino. Tanto l’ho fatto io, sorrido e lo rimetto in spalla.
Ho un iPod in mano, levo le cuffie, le orecchie mi fanno male. La musica è tipo un salvagente. Un lampo di desiderio mi spinge a voler tornare indietro, a casa. La fila avanza, rimetto le cuffie. Il poliziotto è enorme rispetto a me.
Non sa che io non comprendo la paura che ho di lui, o forse non è proprio di lui che ho paura, so solo che lui la sente. Alcuni poliziotti sono come cani, non conoscono il mondo se non in funzione del fiuto e lui la odora, la mia paura. Mi sembra gli si muovano le narici tipo ippopotamo. Levo il braccialetto che mi ha regalato I., non so se mi manca. Penso ai suoi capelli biondissimi, al suo parlare appena romanesco, al suono di vetro del suo ridere. Farmela mancare mi distrae da quello che non capisco. Mi si spezza un po’ il respiro, faccio schizzare gli occhi tutti intorno, alcuni aerei che prima erano fermi sono spariti. Le mani mi tremano appena mentre lascio nel cestello l’iPod e le cuffie con l’orologio e il bracciale. Poi levo lo zaino, il poliziotto guarda me, non lo zaino, lo prende e lo mette dentro un altro cestello. Con gli occhi mi fa cenno di togliere gli occhiali che ho in testa. Lascio giù pure quelli che sfilo dai ricci.
Se a Singapore qualcuno mi ha messo qualcosa dentro lo zaino di certo me ne sarei accorto.
Ricordati di tenere con te lo zaino, che è un attimo. Hai visto a quel Fuerstenberg, quel tipo famoso, così è stato fregato o forse era colpevole e magari ha fatto qualche sciocchezza, resta il fatto che è morto in carcere a Bangkok, mi pare, ma comunque occhio che poi lì in quei paesi la detenzione è terribile. Mi ha detto mio padre che non sapeva bene come fosse andata a quel poveraccio, ma ha deciso, nel dubbio, di dirmelo.
Passo sotto il metal detector. Verde. Aspetto lo zaino che passa sotto il tunnel dei raggi X, mi soffio sulle mani. Il poliziotto le guarda, poi mi guarda ancora. Certo non ho controllato la tasca interna di sicurezza, vabbè è sempre stata chiusa. Che stupido. Vabbè ma è interna, ha una zip, non ho mai mollato lo zaino. Però magari qualcuno al controllo bagagli a Singapore ha pensato di provarci. Viaggiano milioni di persone ogni giorno, ti pare?
Lo zaino esce, sfila sul carrello verso di me. Le mani si fermano e le allungo per prenderlo, è fatta. L’ansia non serve a niente, a niente. Non è altro che il termometro di quanto l’insicurezza dei genitori bruci dentro di te. Faccio per sporgermi che non ci arrivo bene e il carrello si blocca. Una lanterna gialla si illumina e lo zaino cambia strada verso la corsia parallela.
Resto immobile, in piedi. Cerco parole dei miei per darmi uno spunto di sicurezza, ricerca vana. Sono sempre così bravo, faccio di tutto per non dargli peso, per non esistere. Eppure c’è qualcosa, mi porto dentro qualcosa, qualcosa di indicibile, qualcosa che proprio non comprendo e che loro non vedono ma che non sfugge all’occhio attento di un controllo ai raggi X. Nessuno dovrebbe guardarmi dentro.
Il poliziotto ha una pistola bella grossa nella fondina. Potrei sfilarla al volo, puntargliela in faccia e ridere. Potrei dirgli che premerò il grilletto per tutte le volte che sono rimasto in silenzio, per tutte le volte che qualcuno ha tentato di infilarsi tra me e il dubbio che io sia perfetto. Lui lo sa che sto per farlo, me la farà pagare; segue il fiuto lui, non come i miei genitori. Possibile loro non sentano l’odore della mia solitudine? Che odore potrebbe avere poi?
Il poliziotto mi fa cenno di prendere le mie cose e mi mette in mano un foglio scritto in più lingue, cerco l’italiano: Controllo approfondito bagaglio per trasporto materiale non riconosciuto, seguirci prego.
Metto l’orologio e il bracciale, sbattono ed emettono un tintinnio perché muovo il polso. Accendo l’iPod e metto le cuffie, il poliziotto fa cenno di no. Le levo, penso che se fossi polvere svanirei, dissolto nell’etere qui in Australia. Sarebbe bello. Invece la colpa per i pensieri che rifiuto mi dà consistenza, sostanza. Guardo il poliziotto, è finita, qualsiasi cosa abbiano trovato nello zaino, c’è. E io non l’ho saputa o forse voluta vedere.
Lo seguo. Mi sembra un addio al mondo mentre chiude la porta.
Prende lo zaino. Parli inglese dice, sì, dico, poco però, ok dice, hai fatto tu lo zaino? Sì sì, io. Dico.
Lo apre, mette dentro entrambe le braccia, le magliette stirate e piegate vengono su, i costumi, un caricabatterie e un sacchetto per spazzolino e dentifricio e il libro di Jovanotti “Il grande boh“.
Che c’è qui? Dice.
Io mi alzo, guardo, muove il dito verso la tasca interna chiusa con la zip.
Niente, mi pare. Dico.
Come “ti pare”? L’hai fatta tu, a me sembra ci sia qualcosa.
A me vengono in mente papà e mamma. Penso che non so bene cosa sia venuto a fare qui, da solo, a ventidue anni; io non so neanche cosa desiderare o da cosa scappare e oltre questo bagaglio io il resto che porto con me mica lo comprendo. C’è una macchia di muffa all’angolo della stanza, coperta da un portaombrelli, è verde di tre sfumature che vanno scurendosi verso il centro.
La zip fa rumore. Il poliziotto tira fuori un pacchetto.
Cos’è? Dice.
Non lo so. Dico.
Devi saperlo, l’hai fatta tu. Dice.
No, non lo so davvero. Dico.
Qualcuno ti si è avvicinato durante lo scalo?
No… ehm no cioè non lo so, forse, magari sì, io non lo so davvero. Mi viene da vomitare.
Devo aprirla.
Sì, sì, sì, certo.
Il bagaglio che porti nella tua vita, nella vita intima dico, è costruito di pezzetti minuscoli, di scelte, di attimi e tu, Andrea, tu, ora verrai arrestato e finalmente verrà fatta giustizia. Mi dice qualcosa nella testa.
Il poliziotto estrae un coltello, taglia la carta grigia e lo scotch marrone, della colla gli rimane sui polpastrelli e mi sembra che questo lo innervosisca, muove la testa veloce.
È finita. Una cosa mi ha detto mio padre, una sola, non un consiglio non un’intenzione, un’unica sua goccia di ansia in un mare di possibilità ed è colata dentro di me fino ad avverarsi. O forse l’ho sempre saputo. Il poliziotto lo sapeva ancora prima del controllo, lo sapeva mentre in fila mi guardava.
La carta si lacera come un cuore dopo un abbandono, si apre e rovescia fili sottili di bronzo e acciaio simili a cuccioli di serpente, poi una croce, un rosario, un crocifisso.
Hai parenti qui? Dice.
Io non mi ero accorto che avevo già le lacrime della paura condensate dentro gli occhi in una patina gelatinosa.
Hai famiglia qui? Mi senti? Dice.
Mi si rilassa il corpo tanto da farmi cadere in giù le spalle che quasi mi accascio.
Sì, molti cugini e zie. Dico.
Lui ride. Ha i denti appena perlati più grandi della norma che poi è una sensazione perché non so se esiste una normalità nella misurazione dei denti, hanno uno spazio che allontana gli incisivi dagli altri.
Ride. Il suono della risata mi asciuga le lacrime.
Nonna eh? Dice.
Eh, sì, boh, nonna. Dico.
Deve aver messo dei ciondoli per le zie senza dirmelo, o forse mia madre. Ma no, me l’avrebbe detto, o forse non ci ha pensato. O forse non lo so, forse è giusto io viva nel terrore di non essere perfetto.
Non riesco a sorridergli mentre rimetto tutte le mie cose dentro lo zaino, in disordine, come se volessi scappare. Il poliziotto dice vai, solo uno spavento. Noto della tenerezza negli occhi, mi dà una pacca sulla spalla e io proseguo con lo zaino in spalla grande quasi quanto me.
Ora guardo il pacchetto scongelarsi tra le mani e sorrido. Ho smesso di avere paura del controllo bagagli da quando ho accettato che il male esiste in me come in tutti, e che non ne hanno colpa i miei genitori e non è una colpa portarlo con sé.
La questione è saper scegliere.
Hai mai lasciato che la colpa si insinuasse dentro di te in una situazione in cui sapevi di essere innocente? Se ti è capitato, sarebbe bello leggerlo e scoprire perché.
E se ti va di scongelare ricordi insieme a me, puoi iscriverti qui!
L’illustrazione che hai visto su all’inizio del ricordo scongelato, è del mio super amico geniale Luigi Annibaldi!
Queste due settimane passate ho trasformato in gelato la nostalgia e Drag Me To Hell, il film di Sam Raimi.
Bellissimo! Mi hai trasmesso tutta l'emozione di un ragazzo che viaggia con lo zaino in spalla. E mi hai fatto ricordare un episodio simile che mi è successo da ragazza in aeroporto. Grazie👏
♥️