Più in là di così con i ricordi non voglio andare.
È arrivato il momento di scrivere racconti, horror, noir, fantasy, favole, avventure. Ho compreso che tutte le storie si scongelano da luoghi di noi nascosti e freddi.
Così SottoZero, da ora in poi, avrà solo racconti. Tanto, tutte le storie parlano di noi.
Un ragazzo non comprende il rifiuto di una donna che diceva di amarlo.
Lei ha i capelli ondulati, sottili ciocche scure le scendono sulla fronte, spalanca gli occhi mentre ti guarda per vedere tutto quello che può di te e a te sembra di essere guardato dalla natura selvaggia.
Mangiate, tu cerchi di non sembrare vorace, senti di più i sapori condividendo con lei il pasto, sei attento ai movimenti, ti muovi con garbo, lei sembra un uccellino, mangia poco e la canottiera le scende sul corpo aderendo geometricamente alla pelle. Ridete, scherzate e ridi di gusto, tornate verso casa e tu le proponi di bere una cosa da te con la bocca che ti trema, lei sale.
Dopo cena è sul tuo divano. Parlate ancora mentre il tempo non ha più consistenza, vi baciate, le sfili i vestiti e hai la bocca secca e gli occhi umidi d’emozione. Lei la pelle come velluto, come piume soffici che volteggiano mare, ti bacia il viso, ti parla e tu senti il profumo mentre da qualche parte dentro di te si pianta il pensiero che lei è quella giusta. Ti stringe e nuda è calda, le sue unghie premono la carne come artigli, le labbra bagnate, per un istante ti sembra abbia gli occhi arrossati dalle lacrime, ma ti piace così tanto che ti ritrovi con gli occhi chiusi.
Passate la notte avvinghiati come fili della stessa corda, poi ancora fino alla mattina e lei va via e torna sempre per settimane e mentre dormi ti lascia sul comodino post-it pieni di parole e vorresti svegliarti insieme a lei, perché non trovarla ti fa fermare il respiro, ma non accade mai. Una mattina trovi scritto ti amo e questo è un problema su un post-it e ti agiti che ti tremano le mani e le scrivi un messaggio, due messaggi, tre, quindici messaggi tutti sul frigorifero e sul tavolo e sul muro, anche io e non ci saranno problemi.
Vi lasciate sempre biglietti. Lei ti scrive che ha paura che tu possa non amarla completamente, ti scrive ti amo all’inizio e alla fine e lascia spesso piume sul comodino. Le colleziona, dice e tu sorridi perché va bene tutto. Tu le scrivi che la ameresti qualsiasi cosa lei faccia. Lei ti scrive ti amo ma non è così, non qualsiasi cosa io faccia. Tu le scrivi di no, di smetterla, le scrivi che è stupenda e il suo odore ti ha reso libero e davvero sei libero come se volassi. Lei scrive che mai, prima di te, facendo l’amore ha avuto la sensazione di atterrare dopo un lungo volo e lei sa volare, ti scrive. Tu ridi, è così bella che andrebbe bene pure se volasse e la desideri da farti venire male alle ossa.
La mattina dopo il tuo ultimo post-it, al bar dove pranzate sempre, lei non si presenta. Non ti risponde. Non ti richiama. E tu inizi a fare i conti con quella morte che non è fisica, ma è dentro e ti consuma come muffa.
Le giornate trascorrono, il divano è immobile, il tavolo non ha più birre e cocktail, non pranzi più al bar, i post-it iniziano a perdere colla e cadono e tu li riattacchi muovendo le mani come un pazzo.
L’odore. Il suo odore aveva un colore preciso, il blu, e aveva anche il suono del mare che adesso è la lama liquida del coltello che scrive sul tuo cuore che è un post-it che lei ti manca, sei immerso in una voragine di nostalgia blu.
Inizi a credere sia stato un sogno e ti tocchi e tocchi i post-it, i giorni corrono e tu dimagrisci come se da dentro qualcosa ti stesse succhiando la carne.
Poi, un pomeriggio, all’università, l’odore. Il blu, il mare. Sei distratto, giri la testa, la giri quasi che ti spezzi il collo, corri verso il corridoio davanti a te e te la trovi che cammina vicino al muro, quasi attaccata alla parete. La vedi lì con i suoi occhi limpidi, calma e la bocca con le sue labbra perfette piegate verso terra. Le corri incontro, la tocchi, si gira ti guarda negli occhi. L’odore ti riempie subito il buco nel cuore. Respiri di nuovo a pieni polmoni e ti viene il singhiozzo.
Lei prova a piangere ma è veloce, sfuggono viso e occhi, si ricompone nel tempo di un battito di ciglia e si gira e se ne va. La segui, segui il profumo, corri davanti a lei, alzi la voce, la gente ti guarda. Ma lei no. Lei accelera e guarda a terra.
Allora tenti l’ultima spiaggia. È l’unica opzione anche se non sei pazzo. Gridi il suo nome, apri una delle grosse finestre dell’università, sali sul davanzale e gridi che se non hai la tua motivazione, se non hai una spiegazione chiara, ti ammazzi. Ti ammazzi da lassù e tutti devono vedere la poltiglia in cui l’amore ti sta riducendo.
Lei ti fa cenno di scendere, tu dici di no, dici che vuoi sapere subito il perché di tanta cattiveria. Tutti vi guardano. Ma lei ti dice che non può, non lì, non davanti a tutti. Tu muovi un piede nel vuoto. Allora lei ti dice ok, ti dice che sarebbe passata per solo un minuto a casa tua, sul divano, lì un minuto poi basta perché solo lì può dirtelo. Tu vorresti ancora buttarti, non le credi, vorresti buttarti giù davvero. Muovi di più il piede fuori dalla finestra e le gridi giuramelo, sposti il peso in avanti, la gente vibra verso di te come per fermarti, tu gridi ancora devi giurarmelo o mi ammazzo e le ossa dovranno essere polverizzate per cancellare il ricordo di te. Così lei te lo promette e tu scendi e la guardi andare via ma l’odore ti resta arpionato alle cavità nasali.
Sei lì che aspetti la sera, ti sembra un’eternità aspettarla e ti fa invecchiare.
I minuti li conti come fossero anni sull’orologio che guardavate insieme, ti ricordi di quando le lancette erano liquide e il tempo batteva al ritmo dei vostri movimenti.
Arriva puntuale. Senti l’ascensore chiudersi, i passi fuori dalla porta e apri prima che lei bussi, sei come un cane con i sensi potenziati dal desiderio disperato e preciso.
Piange. Il suono del pianto ti sembra un’eco. Ti dice che ha solo un minuto, che è per il tuo bene. Piange con il viso tra le mani, non ti ha mai più guardato negli occhi. Cerchi di levarle i polsi dal viso per guardarla ma lei ti grida di non farlo e tu dici perché.
Si calma, ti batte il cuore.
Io sono una Lamia. Dice.
Tu la guardi. Non capisci. Non sai cosa significa “Lamia”.
Non devi mai più cercarmi. Devo andarmene. Nessuno può governare la mia natura. Dice.
Continui a non capire e muovi la testa. Le chiedi cosa sia una Lamia, magari fa parte di qualche setta, di qualche associazione tipo testimoni di Geova e non può amarti liberamente. Magari pensi abbia un padre ortodosso che le ha tolto ogni possibilità di vederti, ricattandola di rinchiuderla in casa e di non pagarle gli studi. Ma andrebbe bene, troveresti il modo e annuisci. O forse pensi una Lamia sia una categoria protetta che non conosci, una categoria con qualche malattia congenita. Ecco forse morirà, non avete ancora figli quindi, pensi, morirai anche tu, pensi che saresti disposto a morire e se la Lamia fosse una categoria di persone con malattie neuro degenerative, te ne prenderesti cura fino alla fine. O forse è destinata in sposa a un terribile boss mafioso, un criminale che adesso vuole ucciderti. Ma non ci sarebbe problema, pensi.
Ho resistito il possibile perché ti amo. Addio. Dice.
E da che era immobile e tu ti avvicini e la accarezzi e l’odore suo è ovunque, le dici di guardarti ed è un attimo, un istante e la sua bocca si apre più del normale e i denti si allungano e le mandibole sembrano quelle di un serpente.
La vedi così, la segui trasformarsi i piedi e le gambe sode in zampe lunghe e magre e il corpo si gonfia, il petto si gonfia ed escono piume e sul viso dai lineamenti disegnati le vedi crescere un becco largo e la bocca diventa gigante e le braccia che sapevano stringerti diventano grosse ali con unghie appuntite. Gli occhi si ingrandiscono. Restano gli stessi ma li vedi il doppio più grandi, addirittura il triplo più grandi e ci vedi la paura mescolata all’istinto.
La bocca si apre e si chiude diverse volte, le ali battono e sale su verso il soffitto per poi scagliarsi sul tuo petto. Ti becca il collo fino a sfilarti la pelle, ti strappa piccoli lembi di carne mentre tu resti impassibile, la ami, è un incubo ma la ami e non fai nulla, l’odore non cambia è blu sa di mare e anche se il dolore sale e senti odore di sangue le dici ti amo. Lo ripeti quindici volte, con il becco ti rompe un dente.
E lo vedi negli occhi deformi che si cristallizzano che quei tuoi ti amo a lei, da qualche parte, arrivano.
Rallenta il battito delle ali. Ti sanguina la faccia hai la bocca tumefatta, la carne viva pulsa lacerata sul petto e la ami e sei stupito. Lei si calma e le zampe tornano sode e abbronzate e i capelli tornano mossi il viso è il suo lo riconosci ora piange disperata cercando di non guardarti.
Hai perso anche un dito e il dolore ti fa alzare in piedi a fatica. Lei singhiozza sulla porta, ti dice che non vuole vederti mai più, che questa è lei che ha resistito che non può più e tu sorridi con la fronte insanguinata sorridi con i buchi nei denti e le dici di stringerti la mano, di non avere paura che va bene se riesce a non ucciderti va bene che tu sia martoriato, può funzionare. Le dici voleremo insieme se lo vorrai, le dici che nelle notti belle magari riuscirete ad arrivare al mare e che se non ti uccide vivrete una vita insieme.
Lei piange a dirotto. Si accascia a terra, struscia la schiena sulla porta e ti accorgi che ripete ti amo.
Ti avvicini, la prendi in braccio, la adagi sul divano, la accarezzi e vi addormentate. Al mattino c’è qualche piuma in giro per casa e tu ti tocchi il volto incrostato di sangue. Due enormi occhi cattivi ti fissano, ali spalancate, le zampe squarciano il divano, sempre lo stesso profumo. Tu le dici ti amo e la gengiva senza dente emette un fischio.
Non ti muovi, ti alzi cauto e apri la finestra. Con le mani le fai cenno di calmarsi. La guardi. Sali sulla finestra.
Mi butto. Salvami. Dici.
Guardi lei, poi di sotto. Le sue zampe di rapace picchiettano dal divano al pavimento e si avvicinano, ti sembrano goffe e questo è in contrasto con tutto il resto.
Lasci un piede nel vuoto e sei terrorizzato ora. L’animale ha gli occhi contornati d’argento, sorridi.
Ti butti.
Il volo dall’ultimo piano te lo immaginavi più lungo. L’aria spinge sul petto. D’istinto hai le mani sul viso, sei lì che sai che comunque saresti morto. Poi il petto sbatte su delle piume e su carne che sa di bestia e di mare. Volteggi in alto fin sopra il palazzo, superate le antenne, le ali sbattono e il vento vi spinge verso le nuvole.
Siete in cielo, domani farete la spesa al supermercato e al negozio di animali, ti farai ricostruire il dente, comprerete acqua ossigenata e bende e paglia, ricucirete il divano e imparerai a tagliarle le unghie, vedrete il mare dall’alto finché vecchi, morirete, comodi, nel vostro nido.
♥️
Molto bello.Alcuni amori sono così davvero, ti lacerano il corpo ma non puoi farne a meno. È tutta una questione di equilibrio alla fine.