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Avatar di Sabrina Silvestri

Scongelo un quaderno. Un quadernone con la spirale, a quadretti, aveva la copertina azzurra e c’era scritto sopra, in bianco, DIMENSIONE DANZA. Al liceo lo inzuppavo di inchiostro con penne di tutti i colori, ci appuntavo i tormentoni e le cose divertenti che succedevano in classe e scrivevo tantissimo del ragazzo che mi piaceva, quello della sezione B. Ma proprio con un trasporto, tutte le mie pene d’amore finivano su carta con la penna verde brillantinata e poi il quaderno lo lasciavo sempre sotto il banco: era il mio modo di condividere qualcosa con le mie compagne di classe, quel quaderno non era più una cosa solo mia ma aveva costruito una piccola comunità di ragazze che fra quelle pagine inciuciavano, commentavano le cose che dicevano i prof, si scambiavano segreti e frasi da libri e canzoni, si incoraggiavano prima delle interrogazioni, si suggerivano cosa dire e cosa fare coi ragazzi carini. E poi la mia quotidianità si è riempita di cose tanto più grandi di me che mi riempivano la testa, ero arrabbiata perché la risposta degli adulti a cui chiedevo aiuto era sempre che dovevo portare pazienza e stare buona e piuttosto dare una mano, almeno io. Mi sentivo abbandonata, mi rimaneva soltanto il quaderno a impedirmi di imprigionarmi dentro me stessa, e non sapevo più come dire le cose per non sembrare pazza. Scrivevo meno e abbiamo tutte cominciato a scrivere meno. Ho provato, un paio di volte, non a raccontare fatti brutti che sapevo che avrei dovuto gestire da sola, però ecco, quel quaderno, lo sguardo delle mie amiche, quello era l’unico posto che sentivo come sicuro e lì ho provato, almeno a loro, a chiedere aiuto, senza raccontare nulla che potesse turbare nessuno, portando solo il bisogno di sentirmi protetta, di avere i miei anni insieme a loro e non trenta di più perché questo pretendevano i grandi e contemporaneamente dieci di meno perché io invece così mi sentivo, minuscola e impotente. Forse l’ho fatta male, questa cosa di chiedere aiuto, in un modo troppo criptico, o con troppo trasporto, ma il quaderno ha taciuto e con lui io, non ho più scritto niente per tantissimi anni.

Mi è cambiato il modo di desiderare di sentirmi al sicuro, non lo so più fare, chiedo male aiuto e protezione, sempre con la rabbia di chi sa che tanto non gliene spetta nemmeno un pelino. Adesso il mio quaderno si scongela ma le pagine sono una poltiglia, impossibile scriverci o sfogliarlo, ho un altro quaderno adesso, dove raccolgo le storie degli altri perché io di mio non ho proprio più niente da dire.

Intanto, però, la scuola Genius mi ha ridato le parole: un dono prezioso con cui posso piano piano tornare a raccontare almeno chi incontro, custodirne la vita. E questo spazio che ti stai sistemando è proprio un bel posto dove sedersi un momento e lasciarsi commuovere alla vista di pezzi di vita che riprendono colore dopo essere stati tanto tempo nel ghiaccio.

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Avatar di Alice Fadda

Io vorrei ringraziarti vivamente per aver messo a fuoco una cosa a cui sto pensando da un po’: come ci si sente a ereditare qualcosa di veramente grande, qualcosa che devi per forza accettare perché è il tuo cognome, perché lo puoi accettare solo tu, perché lo devi accettare, punto e basta? Ora lo so.

E poi aggiungo un’altra piccola cosa: ogni pezzo scongelato non è solo tuo ma anche mio, nostro. È davvero molto bello questo percorso sotto zero che ci stai regalando. Grazie.

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