Nel freezer c’è un uncino che stavo provando a congelare, ho cambiato idea. Questa è una puntata un po’ particolare, meglio tenerlo fuori ora, al posto della mano.
In corsivo c’è l’Ombra, questa volta non è detto però che appaia.
SottoZero scongela ricordi per metterli in scena.
Inizia che sto così seduto nella sala d’attesa e penso che l’odore di ospedale di solito mi fa cagare sotto. Mi fa paura perché sa di morte, sa di dolore che evapora dalla pelle e io con il dolore ho poca dimestichezza perché lo sotterro così bene che pure la terra si secca. Fuori piove. E scopro che sono pure scaramantico e penso che la pioggia non sia il massimo in un giorno di nascite.
Tra poco tocca a lei e io so che lei è l’unica donna di cui mi fido. Perché l’istinto, la carne e l’anima sono riusciti a silenziare le parole che ho sempre usato per fuggire e invece hanno scelto lei, ogni volta, per amarla e per fiorire tra luce e buio, per generare la mia prima figlia e, adesso, il mio secondo figlio.
La amo. Nel senso che, per quanto i torrenti sommersi di un uomo fatto a strati come me scorrano in mille direzioni, i miei atomi sono suoi, fracassati dalla paura di soffrire si smolecolano e si ricompongono dentro di lei. Lei fa lo stesso con me senza saperlo. Siamo uguali. Solo che lei ha gli occhi color nocciola e il corpo morbido e sensuale e quando ride m’ero scordato che mi si scalda il collo e smette di nevicarmi sulle ossa.
Così mi chiamano. Entro in un’enorme sala e lei è lì. Mi fanno camminare attaccato al muro. Questa accortezza la ricordo anche nell’altro parto cinque anni fa, perché la prima parte dell’operazione in cui le incidono la pancia e il parto inizia, le rivoltano la pelle come un tappeto per metterle le mani dentro e tirare fuori mio figlio. Siccome è un po’ come una macelleria, preferiscono che i padri non guardino per non sotterrare la libido già messa in discussione dalla complessità dell’esistenza condivisa nella costruzione di una famiglia. Io cammino e vorrei sbirciare, vorrei vederla come è fatta dentro perché da qualche parte so che c’è il sole, non so dove ma dentro ce l’ha e quando la bacio, che capita raramente quando fai i figli e la routine è un tranello, quando la bacio la schiena mi si ammorbidisce e non scricchiola e mi si scioglie il midollo fino agli occhi.
Con la prima figlia fu veloce. Adesso invece rovistano, io le sono vicino, lei negli occhi non ha solo paura, ha una linea di luce chiara, io la guardo e mi guardo le mani e sulla mano destra ho un uncino con la luce che gli si arrotola intorno.
Non è possibile, penso. È tutta la vita che ho un uncino e invece di accarezzare l’anima di una donna la tiro via e la bucherello per vedere se sanguina. Con lei, adesso, se le avvicino la protesi adunca, la punta scompare e torna la mano e la accarezzo come se l’amore fosse tutto concentrato sul palmo. L’uncino non è mai esistito, l’ho inventato io.
Non sente niente grazie all’anestesia, un po’ come è stato per le mie emozioni per gran parte della mia vita. Viene tirata e spinta e mi dice che si sente toccare i polmoni e le costole e il seno; dicono che ci sono troppe aderenze e tutti dietro al telo verde corrono e a un certo punto il primario chiama un’altra ginecologa per farsi aiutare. Il tempo scorre untuoso, io le stringo la mano e le dico che se vomita a me non dà fastidio e neanche se sviene, ma lei proprio non vuole perché non si vuole far vedere da me ancor più devastata e prima la mano le suda gelida, poi i suoi occhi mi implorano di farli smettere e di non fare più figli. Ma io non posso fermare nessuno, posso metterle l’uncino nell’occhio e farle uscir fuori la paura. Sarebbero solo lampi però, perché quella linea di luce non si muove di lì, certa che dietro le nuvole il sereno è pronto a tornare; non serve bucherellare niente.
Abbiamo sofferto noi due, credendoci in pericolo abbiamo poi compreso che siamo stati noi stessi il pericolo, abbiamo patito le mie mancanze, le mie manipolazioni, le sue mancanze, le sue idealizzazioni, le mie fantasie, i suoi silenzi, le sue rigidità e la nostra inesperienza. Succede. Le stringo la mano e pure lei ha un uncino che stride a contatto con il mio, poi però le dita si arrotolano e tutto torna umano, tranne la luce della sala operatoria.
Qualche istante di silenzio, tutti si fermano.
Se il tempo nel cosmo ha un valore relativo, quando un essere vivente nasce succede lo stesso e tremo in quel silenzio interposto tra il nulla e la vita.
C è da dire che un parto cesareo è pur sempre un’operazione che ha delle complessità, che toglie un poco di maternità al momento magico ma è una via più sicura se dentro qualcosa non è allineato come il cosmo.
Anche la luce mi fa paura negli ospedali. È una luce morta, invera, inconcepibile come il pensiero che la vita possa interrompersi senza preavviso.
Non sentiamo piangere. Non respiriamo, nessuno respira.
Quanto dura il silenzio quando non vorresti ci fosse?
Poi esplode il pianto. Nasce nostro figlio dopo due ore di operazione e le mani di più persone dentro la pancia aperta di lei, e ce lo portano e lo massaggiano sulla schiena.
La fatica la vediamo sulla sua pelle, non solo riflessa negli occhi della madre, lui pesa tanto, piange, ha un colorito bluastro e passerà qualche giorno delicato di paure. Ma è forte più di me e non serve raccontare quei giorni successivi ora che è a casa e sta bene.
Tutto rientra. Tutto rientra quando gli atomi sono orientati verso la vita, quando tutto si muove perché qualcosa accada davvero e non sia solo fantasia e tutto esplode come il pianto di un neonato. La felicità è proprio il suono di quel pianto che segue il silenzio.
Il mio uncino tocca la punta del suo. Siamo io e lei pieni di paura, da anni, da sempre, da quando i miei atomi hanno scelto di riprodursi attraverso di lei; io non ho voce in capitolo perché io narro solo errori, mentre i miei strati profondi mi indicano la via, donando consistenza e vita.
L’hai capito sì, sono io il nucleo di quegli atomi. Dice.
Eh Ombra, caro m’è costato. Dico.
Pensa, la ripetizione di scenari sempre uguali in cui gli uomini logorano loro stessi è un giro della morte per molti, fatale. Ma io ti ho tirato fuori. Le donne che hai avuto, le parole che hai detto, le opportunità bruciate, i lavori mancati, le illusioni dipinte. Stai, anzi, stiamo orientando gli atomi verso la vita che volevi e che credevi di odiare perché pensavi di non meritarla. Dice.
Molti mi daranno dell’impostore. Dico.
Una donna che ti conosce per quello che sei e non per quello che lei vorrebbe tu fossi come può darti dell’impostore? Potrà voltarsi altrove, ma se è capace di continuare a scaldarti anche quando le puntelli la carne e provi a succhiarle l’anima, come può darti dell’impostore? Proprio come ha fatto lei che ha trasformato un uncino in una mano che accarezza qualsiasi mostruosità tu sia. E intrica le sue dita alle tue come corde senza lasciarle mai. Dice.
A volte pensare che tu sia dentro di me mi fa strano. Dico.
Mi hai fatto affiorare tu. Vedi, ti sei detto innamorato di molte donne, moltissime pur di non sentire il vuoto tra me e te, pur di non vedermi le hai portate in mondi inesistenti. Riflessi di tutto l’amore che hai creduto di non aver avuto, innamoramenti di parole, di false speranze ed esplosioni, eco del vuoto che portavi dentro. Per la prima volta stai costruendo qualcosa che si chiama amore, per questo hai pianto così tanto questi giorni e ti stupisce. Tu pensi sia stato solo per paura di tutto quello che avete affrontato, io so invece che hai pianto soprattutto perché sei vivo. Dice.
Sorrido.
Ho rischiato di sotterrare me e te per sempre, lo sai sì? Dico.
E invece stiamo fiorendo bello mio. Dice.
Un po’ di cose sulla nascita
Il parto Cesareo ha curiosità notevoli, le trovate qui.
Cosa accade in una donna incinta? Qui un articolo interessante che ho studiato per capire meglio cosa si patisce.
Lei, che sta con me, fa questo. Dovreste vederlo perché è decisamente forte: Sito: qui. Instagram qui: @domi.gurumi
Vi consiglio l’ascolto dell’album di Marracash, un percorso artistico di auto-analisi che aiuta a comprendere il movimento da dentro una bolla, al sicuro, verso l’esterno, ossia verso la vita che puoi vivere. Qui il link: È finita la pace.
La copertina è del super iper LUIGI ANNIBALDI!
Ti ringrazio per questo racconto, davvero. Hai scritto un piccolo capolavoro che mi ha commossa fortemente, anche se (scusami ma) la tua bravura è stata un po’ offuscata da quella di Domitilla ♥️
Auguroni a tutti e tre!
Che bello quello che hai scritto e soprattutto come lo hai scritto, mi sono sentito anche io in quella sala operatoria, davvero emozionante!