Oggi dal freezer tiro fuori una bottiglia di Rum per una puntata di SottoZero un po’ speciale.
Nell’intenzione risiede il risultato. Lo sai subito, è in quel momento che devi scrivere.
Il punto è che l’intenzione non è un fiume in piena che ti prende e si impossessa di testa, spalla, braccio, mano e penna e hai la storia tra le dita. Mai. O meglio, a meno che tu non sia, non so, tu non sia… Nessuno. Perché la scrittura, quella seria, è metodo.
Apro la vetrina dove tengo il Rum. Il Rum è l’unico alcolico che bevo e ho solo bottiglie che mi ricordano le infinite vite possibili. La richiudo. Mi siedo. Guardo il computer.
Torno al 2017. Avevo un racconto in testa, il primo di tutto quello che poi è venuto.
Avevo in testa la storia di questi bulli che picchiano un vagabondo e non potendolo derubare lo massacrano di botte. Ma non ci riescono perché arriva una donna, che sembrerebbe una suora, con due machete stretti nelle mani. Lei profuma di nero e di viole, insomma immaginate la fine.
Come l’ho scritto e come lo scriverei oggi?
Mi siedo. La pagina è bianca.
Mi alzo.
Apro il mobiletto, lo chiudo, lo guardo, poi lo riapro e prendo il Rum (Appleton), metto il ghiaccio nel bicchiere e verso.
Bevo un po’. È dolce, volatile, alcolico, a tratti speziato.
Inizio a scrivere.
Guardo il telefono, qualche notifica. Le levo.
Metto le cuffie.
E inizio a scrivere.
E il metodo, scusa? Dice.
Oh, Ombra eccoti. Al tempo non c’era metodo. Dico.
Non c’ero io forse, stavo schiacciata sotto il gelo. Dice.
Che c’entra? Dico.
C’entra, eccome. Per scrivere è necessario ascoltarsi, non completare un esercizietto di stile come hai fatto quella volta. Dice.
Insomma. Quella volta nel 2017 il racconto l’ho scritto in un paio d’ore, mi sono seduto tra mille distrazioni ed è venuto fuori. L’ho riletto ieri ed è stato scritto da una versione precisa di me.
Inizi a capire. Dice.
Immaginate di tagliarvi a listelle sottili come cetrioli e scegliere di mettere la penna in mano a un solo strato, quello più esterno. Ne esce fuori, se sapete scrivere in italiano, un lavoro pulito, piatto, dritto, descrittivo. Carino però eh.
Carino eh? Ma che cazzo scrivi dai. Dice.
Eh, era carino. Dico.
Era scarno, sottile, ovvio. Ma soprattutto scollato, i livelli di una storia devono essere TRE. Dice.
Scollato? Dico.
Sì. La scrittura deve incollarti i pezzi, devi arrivare a chi ti legge in verticale. Devi dire, devi non dire e devi far muovere il racconto con qualcosa di indicibile che tiene il lettore incollato. Come un magnete invisibile. Non spiattellare la parte di te che usi sempre, quella in cerca di consenso, priva di tensione, quella che nella vita plana sulle cose ma non le vive. Dice.
Mando giù altri due sorsi di Rum, belli pieni.
Uhm. Ahhhss. Dico.
Metodo. Metodo. Santo Dio. Hai un’idea, ti siedi, la scrivi ma con metodo. Il metodo è farsi le domande giuste, sto descrivendo troppo invece di mettere in scena e quindi è tutto piatto? Tipo:
“Ho una paura profonda come il mare.” Versione tua da sfigato per rimorchiare.
Oppure, senti qua.
“L’occhio mi trema, le mani si incollano bagnate alla maniglia che va su e giù a vuoto, scivola per il sudore. La porta non si apre. Quell’ombra è dietro di me, giro la testa e…” Versione mia. Da chi sente la paura, dentro, nella carne: la vive. Altroché.
Insomma, in quel raccontino descrivevi senza consistenza, senza chiederti cosa provassero i personaggi. Sai perché? Te lo dico io perché: perché tu vivevi senza sentire niente. Se tu non provi e resti in superficie, la pagina è sottile come una lama, non affonda e pure la vita ti scorre via. Dice.
Ora, che sono qui e ormai l’Ombra non tace più, ho questa puntata di SottoZero che si sta scrivendo da sola e…Dico.
Non si sta scrivendo da sola. Hai letto i tuoi appunti, hai esperienza, sai come riassumere un po’ di scrittura creativa mettendola in scena (te che bevi, io che ti salvo dal nulla che saresti), ogni tanto penso tu sia stupido o insicuro. Dice.
Datti una calmata. Dico.
Sennò che fai? Dice.
Resto in silenzio. Fuori dalla finestra la notte è calma e inerme.
“Resto in silenzio. Fuori dalla finestra la notte è calma e inerme.” Ma chi cazzo scriverebbe una cosa del genere? Quale uomo banale? Meno aggettivi usi, meglio ti funziona la frase. Gli aggettivi sono generici, roba per principianti. Centellinali. Se dici calma, per me calma è una bella donna che si fa lo smalto in perizoma di spalle, magari per te è un panino al mare da bambino con nostra madre. Meno aggettivi. Tipo:
“Devo essere l’ultimo della via ancora sveglio. La luce della scrivania illumina un angolo della strada, persino il vento è fermo e la notte si affaccia dalla finestra con un odore marcescente di sconfitta. Ma se scrivo, il buio profuma di speranza.” Dice.
Beh, in effetti. Dico.
E poi l’esercizio. L’ e s e r c i z i o. Da quando ci sono io scrivi tutti i giorni, vai a pugilato quattro volte a settimana, lavori senza sosta. È tutto lo stesso meccanismo. Se ti eserciti prendi consistenza e vai a fondo. E rileggiti, che manco ti rileggevi prima, presuntuoso. Dice.
Sì che mi rileggevo. Dico.
No. Lo facevi a bassa voce, una sola volta, striminzita, con quella voce strozzata sul diaframma di chi dentro è insicuro. Voce alta, petto in fuori, concentrato. Lì capisci se hai dato ritmo alla storia, movimento e tensione. Dice.
Il poco rum rimasto nel bicchiere me lo bevo, è così forte che non so bene se lo bevo per scrivere o per annegare.
Comunque, gliel’hai detto? Dice.
Eh? Dico.
Gliel’hai detto a loro? Dice.
Loro chi? Dico.
A chi ti legge. Dice.
Cosa? Dico.
Che ti hanno contattato due case editrici ottime, piccole, rispettabili e ne hai scelta una e pubblichi il romanzo che hai scritto due anni fa, con tanto di editing e ufficio stampa. Dice.
Oddio, no non l’ho detto, mi vergogno, penso sempre al peggio. Dico.
Beh, io iniziavo a fare capolino in quel libro, ma ancora non c’ero come oggi. Tuttavia è un lavoro egregio, ben confezionato. Non vergognarti, è un passo verso la tua verità. Che poi sono io. Dice.
Del Rum è rimasto solo il ghiaccio insaporito, provo a berne un po’ e il cubetto mi gela le labbra.
Vedi, il punto è che la scrittura adesso è lì, è diventata un tuo (mio) bisogno e non è più un mezzo (tuo) per piacere; tutto si sta sciogliendo, guarda caso, da quando ci sono io. Ma non ringraziarmi con quella faccia da soldatino. Piuttosto bevi e scrivi e vivi. Dice.
Ecco, è questo. La scrittura non serve per farsi vedere, ma per vedere.
Un po’ di cose sulla scrittura.
Tre canzoni che parlano di cos’è la scrittura. China Town. Bisogna Scrivere. Paperback writer.
Tre libri +1 che aiutano a capire il processo creativo della scrittura. Tieni presente che. Danza macabra. La scrittura come un coltello. On Writing.
Per tenermi vicina la scrittura, nel 2019 ho fondato con editor professionisti e scrittori la Scuola di scrittura Genius.
“Bevi,scrivi e vivi” o “Vivi, scrivi e bevi”?
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La copertina? La copertina è di Luigi Annibaldi!
congratulazioni❣️
Bellissima l'emozione in questa presentazione di un tuo libro che nasce! Sono emozionata anch'io!❤️👏