Benvenuto a te che leggi.
Qui tutto è gelato, anche il rumore.
Metto di nuovo le mani nel freezer, è ancora pieno zeppo che non riesco a vedere il fondo.
Tiro fuori un’altra cosa.
Vediamo di metterla a scongelare:
C’è il sole, almeno questa è una nota positiva. O meglio a voler smembrare la realtà è l’unica cosa luminosa oggi. La chiesa ha un solo affresco che raffigura Gesù, tutte intorno salgono in verticale vetrate di vetri colorati opachi. Non che l’amore debba essere sempre luminoso, può esserci un pianto, un mazzo di rose di scuse e poi una carezza, fare l’amore una sola volta dopo mesi in cui non lo fai, o la voce graffiata di rabbia che preannuncia il silenzio; però, quantomeno, dovrebbe esserci, sepolta sotto tutto questo elenco, quella luce, quella scintilla purpurea sempre lì al sicuro dagli eventi.
C’è una partecipazione esigua a dire il vero, molti secondi matrimoni sono fiori che nascono in prati più piccoli, meno curati, dopo un raccolto andato male.
È come fare l’amore con la donna che credi la tua metà. Magari poi ti va pure meglio con quella dopo e quelle dopo ancora, ma la prima volta ha quella deflagrazione che ti fa sentire l’impercettibile dell’universo e ti fa venire voglia di costruirci pure un figlio. Se poi quella prima va male, la seconda volta resta la seconda volta.
Sto vicino a mia madre. Temo di essere arrabbiato, ma è bene non si veda. Bene non si veda niente, va tutto bene. Indosso un vestito abbastanza elegante e abbastanza sta per pantaloni del completo larghi, perché sono magrolino e tutto mi sta largo, e camicia con la cravatta che pende a sinistra per via del nodo fatto male da mia mamma. Vorrei solo stare in maglietta.
Devo dire, pensandoci mentre vedo mio padre sull’altare, che quello che ho capito, che mi è colato dentro nelle ossa tipo midollo, è che uno si sposa sennò, se muore prima del tempo, l’altra resta in mezzo a una strada. Quindi non si misura il sentimento ma il rischio della perdita. In una generazione fragile come la loro, dove l’amore duraturo è raro e quasi sempre minore del senso di colpa, l’educazione sentimentale dei figli è pari a zero.
Io ho una prima vera fidanzata che non è venuta oggi, ha gli occhi blu e se la lascio, in effetti, un po’ già mi sento in colpa.
Posso seppellire la verità più giù possibile, mi si può dire quello che si vuole, ma se una cosa va male, se è andata di merda, si è esaurita e consumata per mille ragioni pure con un figlio, un nuovo matrimonio su cosa regge se non hai capito cosa vuoi davvero?
Così mi gratto la faccia, spingo il naso, le guance, la fronte e sorrido. Invece di sputare fuori quello che penso, che è chiaro che non ci sia amore da nessuna parte qui intorno.
Mia madre non capisco se è triste, contenta, arrabbiata, rasserenata, colpevole, boh; mi gratto il naso, sta qua vicino a me immersa in una coltre di nebbia, ce l’ha solo lei la nebbia intorno. O forse la vedo solo io. Allargo un po’ il braccio per sentirne la consistenza ma niente, sfuma e le sfioro la camicia amaranto. Lei almeno c’è sempre sotto la nebbia.
Intorno all’altare ci sono dei candelabri e candele alte quasi quanto me disposti come le sbarre di una gabbia da cui non si esce. Le fiammelle delle candele vibrano appena, scosse da una lieve corrente.
Se ti sposi per senso di colpa, inadeguatezza, tristezza, paura, rabbia, boh, sei finito. La fiammella purpurea sarà sempre sopra di te e non la coglierai mai e non brillerà mai dentro di te, resterà lì. Al massimo sentirai un tepore la notte e ti dirai che tutto è ok. Qui, in questo piccolo giardino con poche formiche e pochi fiori, ho la sensazione che nessuno abbia chiaro cosa sia l’amore. C’è del tepore in alto, nulla di più, ecco.
Ma va tutto bene. La privazione emotiva è il mio forte e io me ne sto qui in questa chiesa comunale e sorrido. La chiesa gronda di umidità, che però è grigia, opaca e cola e mi si appiccica addosso e mi tira giù la pelle e mi vorrebbe triste pure Gesù. Io però sono un soldato, un marine del camouflage e continuo a sorridere. Gli occhi però non mentono, i miei non hanno mai mentito neanche una volta in tutta la vita, proprio mai. A pensarci è l’unica parte del mio corpo limpida, zero menzogna e mia perpetua fonte di autoassoluzione. La fortuna è che qui, adesso, dentro questa chiesetta nel centro di Roma dove la verità è rimasta sull’uscio, nessuno mi guarda negli occhi.
Mio padre e la compagna si avvicinano al funzionario comunale un passo alla volta, si scambiano le fedi, il bacio è sotto tono nel giardino dei fiori dalla vita breve; c’è mio nonno, mia nonna, zii, pochi altri e sono tutti dipinti con acquerelli tra l’azzurro e il grigio e il blu, e sembrano colare per terra. Solo io non ho colore? O forse non mi vedo bene.
Io non mi sposerò mai, dico.
Mia madre dice eh?
Niente, niente, niente. Dico.
Con le parole, con i gesti, provi a coprire il vuoto ma ci finisci dentro per forza. Vedo mio padre e la compagna che stanno lì e mi sembra si debbano raccontare decine di motivi e decine e decine di motivazioni fatte di parole sottili immerse in un mare di indicibile per sentirsi in ordine, per tenere tutto incollato.
Mi gratto di nuovo il naso strusciando le mani fino alle guance.
Il punto è che quelle parole raccontano una verità fittizia che ti accompagnerà fino alla tomba, dove il legno della bara avrà due fessure precise per gli occhi per continuare a vedere, e tu desidererai due chiodi belli grossi piantati dentro le pupille; invece lì sepolto assisterai da spettatore al mondo che andrà avanti in eterno e lo spreco di amore, lo spreco di parole, lo spreco.
È poi per questo che i corpi si rattrappiscono dopo la morte, per via del pianto per tutte le verità mancate che corrode e trasforma la carne in polvere.
Sbatto gli occhi, cerimonia finita. Mia mamma mi guarda e c’ha sempre la nebbia intorno, mi sorride. C’è mio zio, lo guardo e gli sorrido. Lui ha capito qualcosa in più degli altri sull’amore. Saluto e mi congratulo e il gruppetto di presenti sfila al centro tra le sedute e procede verso l’uscita.
Mi aspettate? Dico.
Non ho più nessuno intorno. Sono usciti tutti e non capisco perché la chiesa sconsacrata ora è al buio, nessuno mi ha aspettato.
Mà? dico. Mà, ci sei?
Niente, non c’è più nessuno. Muovo le mani ma è buio nero, innaturale; l’unico spiraglio arriva da dietro l’altare dove mio padre e la compagna si sono sposati. È un trancio di luce, forse una botola. Però se cammino dritto dalla parte opposta arrivo alla porta d’ingresso. Era grossa di legno e piena di affreschi, in pochi passi dovrei esserci.
Ohh!? Dico. Non ho risposta e cammino.
Avrei dovuto incontrare la porta, mi giro e la botola è alla stessa distanza di prima.
Mà? Pà? Ci siete? Alzo la voce che sembra attutita da un muro di gommapiuma incastrato tra il petto e la gola. Provo a girare su me stesso, solo la fessura di luce resta al suo posto, il resto intorno è nero. Vado verso la luce.
Mà? Dico.
Faccio due passi avanti e uno indietro e penso che questo ci mancava, sicuro sto sognando e pure mio padre non si è sposato. Mi tiro la pelle con due dita. Niente. Sono davanti alla luce. È una botola aperta di quelle che dà accesso alle parti sotterranee della chiesa immagino. Incastonata tra due corrimano di ferro c’è una scala che va giù.
Scendo. Ma? dico. Decine di brividi sul viso mi pizzicano la pelle, credo siano ragnatele che mi fanno il solletico. Le scaccio con le mani, mi si impigliano tra le dita e le struscio via sui pantaloni.
Le scale sono brevi, la luce si affievolisce e decine di occhi si aprono su di me.
Se ci riuscissi, griderei. Ho la testa pesante e le gambe morbide.
Lasciaci fare, lascia fare a noi. Dicono gli occhi.
Chi siete? Dico.
Forme morbide femminili avanzano verso di me luminose. Capelli rossi, neri, castani, biondi di luce irradiano i loro corpi impalpabili ma di cui colgo le forme perfette. Sono esseri da cui non riesco a distogliere lo sguardo, sono calore puro che mi rilassa i muscoli, mi scalda e mi sento bene.
Si muovono accompagnate da uno scrocchiare di rami, a malapena vedo avvicinarsi i loro avambracci secchi e sottili magri come ossa e arrotolati nella luce. La pelle è stesa come pergamena sulle mani nodose dalle unghie eleganti, ognuna con lo smalto del colore dei capelli. Roteano sinuose verso di me.
Sono decine, ombre morbide che mi sfiorano. Sono bellissime.
Due dita mi si piantano nel petto con le unghie. Poi quattro, sei, otto. Non so più quante. Incidono la pelle e dai lembi di carne aperti schizza fuori una scintilla di colore porpora che abbandona il mio corpo. Un brivido freddo mi attraversa.
Il tuo amore resta qui, Andrea, disperso su ognuna di noi. Vai adesso, vuoto, leggero, solo, non sentirai più dolore. Vai. Dicono.
La scintilla sfiora le sagome che brillano e poi le illumina, il bagliore mi fa chiudere gli occhi.
Li riapro nel cortile alberato all'esterno della chiesa.
Mia mamma mi strattona la spalla. Andrea? Dice.
Tutto bene, tutto bene. Dico.
Fa caldo. Mi tocco il petto, la pelle è freddissima, guardo sotto la camicia ma non c’è nulla, solo del rossore. Gli altri si allontanano, io seguo mia madre rimasta indietro per aspettarmi; mi giro e lontano, dentro, in fondo alla chiesa, la scintilla color porpora esplode in silenzio e svanisce nel buio polverizzata tra tutte le ombre.
Mamma! Dico.
Dimmi Andrea, dai che dobbiamo andare, ci aspettano. Dice.
Niente. Andiamo sì, ci aspettano. Dico.
Mi ritrovo oggi la fede in mano, ha una piccola crepa. È fredda di anni al freddo nel freezer. Riesco a guardarla, ci gioco tra le dita, scivola e mi ghiaccia i polpastrelli. Poi però inizia a scaldarsi e si scioglie.
Svanisce assorbita dalla pelle. Seguo l’oro fuso brillare nelle vene e poi diluirsi nel sangue e sparire. Le ombre intorno evaporano, mi guardo allo specchio e dentro agli occhi vedo brillare le pupille di una luce purpurea. Forse è sempre stata lì e quel giorno, quella scintilla, non era la mia.
Se non metti in ordine i ricordi, le ombre possono illuderti fino a sotterrarti e io, per poco, non finivo al cimitero.
La copertina è sempre del super amico Luigi Annibaldi, colonna importante e calda della mia vita in queste due settimane ho trasformato in gelato The Watchers e Jelly Roll.
E poi è uscito il nuovo album di Eminem, The Death of Slam Shady; la morte dell’alter ego cattivo dell’unico essere umano, artista, rapper, che per molti anni ha evitato morissi assiderato.
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