Benvenuto a te che leggi.
I ricordi possono torturare come veri e propri boia con tanto di lama che sfiletta la carne, riducendoci in piccoli pezzi giorno dopo giorno, congelati, mai integri nel presente.
Prendi posto accanto a me, mentre oggi tiro fuori una poltrona dal freezer per scongelarla.
Da ora in poi, quando troverai un asterisco * vicino a una parola, significa che ci sarà un approfondimento sul tema alla fine del ricordo. In questo modo non interromperai la lettura.
Ultimamente quando salgo dalla mia dottoressa sento sfilarsi da dentro di me qualcosa che scappa via. Esce dal mio corpo come un altro “io” liquido, rallenta, inizia a camminare all’indietro e si nasconde dietro alla colonna che separa le scale dall’ascensore. È uguale a me, ma è fatto di una specie di acquetta, prima nebulizzata e poi densa. Sta seduto su un gradino e io lo osservo. Di solito trema o, come oggi, si limita a guardarmi a sua volta.
Continuo a salire le scale, mi giro e lo vedo nascondersi meglio. Arrivo al piano e suono. La dottoressa apre la porta e io mi guardo intorno; buongiorno, buongiorno Andrea.
Il piccolo studio è uguale da sempre, eterno. Mi sdraio sul lettino.
Resto in silenzio, ci riesco sempre ma per un breve lasso di tempo, mi dà fastidio restare in silenzio. Ultimamente però sta migliorando e l’affanno che mi costringe a riempire il vuoto ritarda qualche istante. Mi sembra di aver fatto passi avanti. Restare in silenzio è un fattore determinante in analisi.*
Si ricorda la prima volta che sono venuto qui? Dico.
Lei non risponde.
Si ricorda cosa le ho detto?
Altri attimi di silenzio.
Insomma, se lo ricorda sicuro. Mi sono seduto sulla poltroncina, quella lì, proprio la prima volta: io voglio scrivere le ho detto. Lei solo anni dopo mi ha spiegato cosa intendessi dire.
Da quel giorno sono ancora qui ma su questo lettino, due volte a settimana da anni ma mai più su quella poltroncina.
Però, quel giorno, lì seduto ero in tanti pezzi e non respiravo bene e qualcosa mi premeva su tutta la schiena e sullo sterno e sulla testa.
Respiro. Provo ad allungare il tempo del silenzio. Poi alzo la schiena.
Posso sedermi sulla poltrona dottoressa? Solo per oggi. Devo muovere qualcosa. Se continuo a sdraiarmi qui su me stesso, io, io non riesco a capire il senso ultimo dell’analisi di me sdraiato qui che con le parole vado dove voglio, mistifico per non andare dove dovrei. Se mi siedo lì e lei mi guarda magari, magari lei mi vede e io riesco a far succedere qualcosa e io non rifuggo lo sguardo e non ho modo di nascondermi tra le parole.
Vuole sedersi sulla poltroncina, Andrea?
Sì.
Prego, proviamo.
Mi alzo, sento una bolla d’aria scorrere dentro su e giù fino alle gambe che a malapena mi reggono.
Mi appoggio al comodino, poi passo alla poltroncina. Da qui ho modo di osservare la dottoressa. Il tempo è passato pure per lei. Ha smesso di tingersi i capelli, ora bianchi e corti, eleganti poco sotto il collo, il suo viso è appena più stanco ma gli occhi sono gli stessi di sempre, attenti e asciutti.
Ho capito una cosa. Dico.
Cosa? Dice.
Che l’analisi non cura.
Si spieghi.
L’analisi non cura, svela.
Resta in silenzio.
Lì, sdraiato lì ho dato colpe, ho recriminato e attribuito responsabilità. Farlo mi scaldava. Colpevolizzare credevo fosse curare, un placebo. Raccontavo i pezzi che volevo e come volevo li montavo e li incastravo e sopravvivevo. Da un po’ però mi succede che, mentre salgo qui per le scale, non riesco più a impostare quello che devo dire, a lustrare le parole per farle brillare faccio fatica; invece succede che una parte di me scorre via e aspetta senza entrare e io penso a lei là fuori che aspetta quando mi sdraio.
In che senso? Dice.
È una figura liquida ma con le mie sembianze. Scorre via e mi aspetta qui sotto al portone.
E non è contento? Sorride.
Scusi?
Dico, non è contento Andrea?
No dottoressa. Sono terrorizzato. Le sembra normale?
L’analisi svela ha detto no? Ho inteso male?
No, cioè sì l’ho detto.
Sa come però?
No. Dico. La guardo negli occhi.
Prima si toglie quella rabbia che crediamo sia dovuta agli altri a cui abbiamo dato il permesso di torturarci. È come un esoscheletro che viene smontato. Visto che le piace parlare di freddo, è come se lei avesse un altro sé totalmente congelato intorno.
Uhm. Allora è l’esoscheletro che si sta scongelando quello che mi aspetta fuori?
Oh no, no, non lo è.
Ma come?
L’esoscheletro lei lo lascia qui, me ne occupo io insieme a lei. Quello che l’attende là fuori esce da lì dentro. Mi indica. È sempre stato con lei, solo che ora senza il ghiaccio intorno può scorrere fuori dal vuoto. Lei non deve far altro che ascoltare.
La guardo, questi ultimi due anni sono i più faticosi della mia vita.
Possiamo restare in silenzio un po’ dottoressa? **
Annuisce.
In silenzio respiro a metà, sento la saliva asciugarsi in bocca e sparire, le labbra si incollano quasi subito. Quando in montagna un fiume scorre lo senti scivolare sulle pietre e contro la terra, senti il fruscio dei rami che porta con sé e ne riconosci il suono nel suo ambiente. A me inquieta invece il suono della risalita, goccia a goccia, di qualcosa che poi scorre sul marmo e si arrampica sui gradini e che non è naturale scorra lì e bagni le scale di un palazzo.
La dottoressa mi guarda, poi guarda la porta. Sento scorrere acqua nel piccolo corridoio, poi il fluire leggero sul parquet gorgoglia e l’acqua scola dal gradinetto dell’ingresso fino sotto la porta dello studio. Mi si bagna una gamba e l’acqua sale un po’ sulla pelle mentre si asciuga da terra e inzuppa i pantaloni, poi sulla schiena fino al collo si attorciglia come un mulinello ed entra in bocca. In silenzio.
Due colpi di tosse.
Tutto bene? dice.
Sento il liquido muoversi dentro di me e separarsi e lo posso percepire, non l’avevo mai ascoltato o lasciato libero, così sale e scorre un po’ ovunque fino su e si ferma negli occhi.
Annuisco.
Lei mi guarda.
Il liquido cola prima dall’occhio destro, poi piano da quello sinistro, poi di nuovo da quello destro. Sento gli occhi pizzicare, mi asciugo le guance.
L’ora è finita Andrea. Si ricordi che svelare permette di fare spazio, però poi gli spazi vanno ascoltati, Andrea, la tristezza non va ignorata, altrimenti le lacrime restano di ghiaccio e ci fanno a pezzi dall’ interno.
Hai paura del silenzio? Qui puoi condividere che ne pensi direttamente
Come nuova abitudine iniziata ad Agosto ti lascio un ricordo caldo delle due ultime settimane, bello o brutto che sia.
Sono seduto accanto al finestrino del volo di ritorno da Tallin. Ci sono due donne accanto a me. Aggiustano il sedere sul sedile, trafficano con le borse durante il decollo. Una volta su in cielo, a destra ho una distesa di nuvole, a sinistra una sola donna. L’altra ha cambiato posto.
Vedo che quella rimasta mi osserva. Mi guarda i tatuaggi sulle mani, guarda la penna stilografica che faccio scorrere sul foglio, guarda il libro di Miller Tropico del Capricorno che ogni tanto prendo e leggo. Il volo è di circa tre ore e se c’è uno sbalzo e io muovo la testa lei guarda dritta il sedile davanti con gli occhi serrati.
Scrivo molto e non alzo tanto la testa. Dopo un paio d’ore, ad alta voce, lei dice non ne posso più. Si aspetta una risposta. Deve dirne altre tre o quattro di cose così perché io risponda. Le dico secondo me arriviamo in una mezz’oretta. Allora si scioglie, non resiste, ce l’aveva sulla punta della lingua. Scusami, ma tu che lavoro fai? Sei uno scrittore, vero?
Per la prima volta, per una frazione di secondo, ho goduto del presente, dell’istante e basta, senza paura del passato e senza riverenze verso il futuro, senza obblighi di essere qualcosa di programmato dal destino, senza reticenze. L’ho guardata e sarebbe bastato dire subito sì, sull’onda della presenza, dell’istante, goderne anche fuori di me. Ma non ce l’ho fatta. Ho detto anche, sì, mi piace scrivere e leggere ma sono un imprenditore.
Il senso di mortificazione che mi ha preso subito dopo si è riflesso nel sorriso a metà della donna, delusa. O forse la delusione era la mia e l’ho voluta vedere sulla sua bocca.
Approfondimenti
*Il silenzio in analisi: clicca QUI.
** La paura del silenzio in analisi: clicca QUI.
Qui avete l’archivio delle puntate vecchie.
È sempre emozionante leggere queste newsletter.
Scaldano davvero il cuore.
Grazie. <3
❤️