Dal freezer tiro fuori una sirena, intatta.
Come sempre, nel testo, in corsivo, a parlare è l’Ombra.
Come sempre, SottoZero mette in scena ricordi.
Tutto quello che dovete sapere è che la bellezza è verità. Verità limpida, non dovete chiedervi altro. Lo diceva Bukowski. Per me invece la bellezza è la voragine nascosta dietro un fiore appena sbocciato.
Paura eh? Dice.
Perché? Dico.
Perché la bellezza la incornici come un’opera d’arte, ti assorda del desiderio che il tempo non ti scorra mai nelle vene. Ti strappi strati di pelle mentre lei resta intonsa e tu invece inizi a marcire, la supplichi e cerchi di riaccenderti l’anima per trovare un senso a tutto. Così quando la incontri fai di tutto per averla e affondi nella sua carne per divorarla, per salvarti, perché l’estrema bellezza rivela chi sei davvero. Dice.
Oh mamma mia. Dico.
Sto seduto sul molo di Adelaide, è il 2006, in Australia, la tavola da surf con la pinna spezzata è accanto a me. Il pezzo mancante è a mollo nell’oceano. Sfioro la pelle del viso che pulsa, dei piccoli graffi sanguinano perché ho strusciato la faccia sul fondale, i granelli e qualche conchiglia mi hanno grattugiato tutto. Sulla mano mi resta del sangue.
Adelaide ha un suono di mare intenso per via delle correnti. È avvolta da una melodia che sai che c’è anche quando vai via perché è la somma del mare più le risate delle ragazze e i sassolini sul bagnasciuga che rotolano verso l’acqua. C’è vento e il molo è pieno di giovani, scricchiola sotto i loro piedi nudi.
Tutto ok? Dice.
Una ragazza che è più un fiore che una ragazza si siede accanto a me.
Le onde qui possono uccidere e portarti via, sei fortunato. Dice.
E mi indica la faccia graffiata.
Dai, uccidere no, portarmi via però sono abituato. Dico.
Apre le labbra e i denti sono ordinati e bianchi.
Sì, sì, lo dicono tutti. I forestieri credono sia facile ma qui ci si muore. Devi crescerci nel mare. Tu non sei di qui, si vede. Dice.
Ciocche di capelli neri le scivolano verso le spalle, bagnati fanno risultare più nere del buio le quattro treccine che le si annodano sulla testa.
Ti ho visto, sei caduto male. Dice.
Naa, era per fare colpo su di te. Dico.
Ride.
È fatta, ride.
Presuntuoso. Ma te lo concedo. Era l’unica cosa che ti riusciva sempre. Dice.
Ma dai, non puoi avermi vista. Dice.
Oh sì. Non solo ti ho vista, ho anche immaginato un bacio per farmi andare via il dolore e lasciarmi portar via dalle tue cure. Dico.
Mi tocco il viso e il petto dondolando e indico i graffi.
Lei ride di nuovo. La sua risata è melodica, è collosa e mi solletica la pelle del collo. Resto ad ascoltarla sperando non smetta e le guardo la bocca e il viso. Ha la pelle scura per via del sole; solo sul naso, piccolo come una mora, poggia una manciata di lentiggini che si inerpica verso le guance.
Vieni con me. Dice.
Il suo corpo è un fascio di muscoli da toccare, il sedere è rotondo e la schiena è mossa da due piccole fossette all’altezza lombare che accolgono il riflesso del sole, come satelliti. Si alza e il suo tono di voce suona come una ninna nanna.
E si tuffa.
Hey! Dico.
I ragazzi e le ragazze intorno si girano e mi guardano. Io li guardo a mia volta, gli occhi mi scottano di desiderio.
Spingo con un calcio la tavola verso il centro del molo che sarà largo tre o quattro metri, assorbe il caldo schiarendo il legno dove la spuma del mare non arriva, l’acqua sotto è scura e appena increspata. Faccio un passo e mi tuffo.
Il mare silenzia il mondo emerso.
Lei non c’è.
Trattengo il respiro nell’oceano muto, c’è solo il rumore ovattato delle orecchie che scricchiolano.
Nuoto, mi guardo intorno.
Poi una mano fredda mi tocca la spalla.
Ruoto il corpo nuotando con le mani, lei è lì davanti a me.
Apro le braccia e le mani come a chiederle ma che fai.
Lei sorride, soffia bolle d’aria verso di me, si avvicina, mi prende una mano, se la struscia sulla pancia e con il viso mi fa cenno di seguirla e mi trascina.
Penso che stia andando troppo giù e che a casa i miei zii mi aspettano. Le lascio la mano, lei si gira.
È che la bellezza la insegui, la vuoi cogliere a tutti i costi, la desideri negli occhi di tutte le donne per divorarla. Esattamente come quando vedi un fiore e vuoi averlo e non pensi che strappandolo lasci una voragine a terra. Dice.
Zitta. Dico.
Nuota verso di me, mi abbraccia, il suo corpo nudo è fresco e soffice e mi bacia e mi soffia aria nei polmoni e mi prende per mano.
Siamo bestie feroci, la bellezza e l’amore non ci confondano, l’hai desiderata immediatamente solo perché averla ti avrebbe fatto sentire vivo. Dice.
L’aria scorre tra la sua bocca e le mia, le sue labbra sono gocce sulla pietra, piccole bollicine restano a mollo e mentre salgono sembra portino delle note di musica verso la superficie.
Quanto ti piace non vederti eh? Dice.
In che senso? Dico.
Vai avanti. Dice.
Ho i polmoni che si stanno svuotando e la seguo e le guardo il corpo che ora ha il colore della sabbia e dei coralli e nuota tendendo i muscoli come corde.
Aggiriamo un masso ricoperto di muschio contornato di alghe e coralli grandi come fili di grano; dietro c’è un ingresso. Lei si gira, io faccio cenno di no, lei di sì.
Insisto con il no. Lei con le mani fa cenno di stare calmo.
Appena ti sfugge il controllo vai a fondo eh. Dice.
Chiudo gli occhi, lei nuota nel buco e mi trascina. Il canale è buio ma breve.
Sbuchiamo all’interno di una grotta, in alto la roccia è forata fino in superficie, filtrano luce e aria. Raggiungiamo una piccola spiaggia.
Guarda. Dice.
La sabbia fredda mi solletica i piedi.
La luce si riflette nei suoi occhi d’acqua mentre la volta brilla di minerali che sembrano stelle.
Sei bella. Dico.
Si avvicina, dal corpo le gocce scivolano verso terra e si toglie il costume.
Stai per scrivere quelle banalità là, quelle ovvietà da raccontino rosa, che lei è una sirena e ti ammalia e vi amate e poi vi perdete e quelle storie melense che danno solo credito a quello straccio di personaggio che ti sei costruito senza di me. Racconta la verità piuttosto. Dice.
No. Dico.
Racconta la verità, romanzala, mettila in scena, fai come ti pare ma se vuoi essere libero dì la verità. Dice.
Fa altri due passi, nuda. E sento il mio corpo bruciare. Le ossa si induriscono, i denti si affilano e le iridi degli occhi verdi si congelano, la guardo, è nuda. Desidero mangiarle il cuore prima che lei mangi il mio.
Ecco, già va meglio. Dice.
La stringo, la bacio e lei lo desidera perché sono i miei occhi mortali a creare mondi illusori per ingabbiarla. Mi bacia, mi spoglia ma il mio corpo si apre e delle squame e una pinna crescono su di me e la mia lingua si allunga e le entra nella gola.
La sua bellezza è un inganno solo per l’uso che ne fai tu. Dice.
La lingua scorre giù, supera la gola e scivola nella trachea, le sfiora i polmoni, le lecca il cuore e lei, lei è così bella che ho fame e devo portarmelo via il suo cuore.
La bellezza usata come fai tu è salvezza illusoria, in realtà sei in fuga. Tu credi di poter fare dei loro cuori pasti per nutrirti, per difenderti dalla possibilità di soffrire ma stai solo scappando. Lo fanno tanti uomini che non scendono a patti con me e vivono nel loro dolore in silenzio, nascondendosi. Dice.
Non voglio far del male a nessuno. Dico.
Eppure lo fai, guarda. Dice.
Le strappo via il cuore e subito ai miei occhi lei perde la luce, perde il suono, perde l’odore e ora che le ho accarezzato l’anima lei non ha più valore ed è solo un involucro. Tiro fuori la lingua, lei si pulisce la bocca e mi guarda con gli occhi spenti. La volta della grotta si apre, si è fatta notte e di lei resta solo una sagoma perfettamente vuota. Come tutte. Alle sue spalle si apre una voragine a terra.
Finalmente la vedi. Lì nel sottosuolo della comprensione è piantato l’unico seme capace di far smettere di infliggere agli altri il proprio dolore. Illuminalo e permettigli di diventare il fiore che merita. Dice.
Guardo la voragine scura. Ora che con me c’è anche l’Ombra, un impulso di vita nuova, possibile, inizia a germogliare.
Un po’ di cose sulla bellezza
Un libro da leggere assolutamente: Il Mito della Bellezza
Ma cos’è la bellezza? Qui un approfondimento.
Le sirene hanno una controparte maschile nella mitologia: I tritoni
Un testo capolavoro della miglior canzone che ci ricorda quanto possiamo essere belli quando ci guardiamo allo specchio: Beautiful di Eminem.
Puoi condividere questo ricordo dove vuoi e con chi vuoi
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