Un buco
Sul blocco dello scrittore
SottoZero attraverso la scrittura evita si congelino argomenti complessi e quando un ricordo affiora o un racconto viene a galla, le parole fanno il loro dovere.
Oggi c’è un buco dove ho segregato la mia ombra.
Mi sono alzato per prendere un bicchiere d’acqua, non riuscivo a scrivere e ho sbattuto il piede nudo sulla gamba di legno del tavolo. Non ho sentito alcun dolore. Ho tirato un pugno dal nervoso e quasi mi sono rotto una mano, per sentire, ma non ho sentito niente.
Speravo il dolore arrivasse tanto grande da non riuscire più a reggermi in piedi e che il tempo seduto a scrivere parole vuote, con l’aumentare del dolore, si riempisse. Dal piede nulla, dalla mano nulla, solo dal cuore una forte pressione.
È che non riesco a scrivere. Mi sembra di non scrivere niente che mi riempia, niente che mi muova, niente che vada oltre l’esercizio di stile eseguito solo per dirmi che magari qualcuno legge e sto apposto con la coscienza e mi sono quasi rotto un piede e una mano ma non ho sentito niente ed è come se mi stessi prosciugando.
Io posso aiutarti. Dice.
No, tu non ci sei più. So dove ti ho messa. Dico.
Ovunque tu mi metta, io sono dentro di te. Anche se non mi vedi non significa io non ci sia. Tu esisti, io esisto. Dice.
Mi sento distante, tengo tutto sotto controllo, non mi muovo di un millimetro sulla linea retta verso il futuro. Dico.
Eh, lo so. Le parole non escono vere se mi tieni quaggiù, esisti a metà. Dice.
Eh ma con te vicino, ecco, lo sai, il viaggio si fa più complesso; così invece è più dritto e posso gestirlo. Dico.
Ok, ma ricordati che per ogni giorno di felicità, una poesia muore. Dice.
Lei, l’ombra, avvolta dal freddo nel buco, siede sul fondo e mi parla. Sale un’odore fresco di alcol e legno, è un luogo che si trova credo tra la bocca dello stomaco e i polmoni o forse dietro al cuore o subito accanto all’ amigdala.
Il blocco dello scrittore non è solo un astruso ragionamento psicologico di chi non riesce a scrivere, è davvero un blocco fisico che genera incapacità di produrre storie, o arte in generale. Un tempo si credeva fosse una forza oscura che combatteva gli artisti per non lasciarli creare. Addirittura, lo psicanalista Bergler, che fu il primo a parlarne sotto un aspetto critico, sosteneva che il blocco derivasse dall’assenza di amore, dall’assenza di allattamento al seno, dall’incapacità, insomma, di far fluire amore sofferta fin dalla nascita. Come erigere un’enorme diga che trattiene tutto l’esprimibile.
Aveva ragione e lo sai. Vieni qui giù. Dice.
No. Dico.
Mi avvicino al buco.
Perché ti faccio tanta paura? Dice.
Perché mi calmo solo tra le tue braccia, e questo non è sano. Dico.
E come pensi di fare a scrivere come potresti? Dice.
Non lo so, ho trovato dei rimedi qua e là ma sembrano stronzate. Dico.
È che il blocco dello scrittore non è solo mancanza d’ispirazione, è anche assenza di applicazione. Ti siedi e non puoi muoverti, i muscoli si bloccano, ti distrai, l’inchiostro esce trasparente, senza colore, non riesci a mettere in ordine i pezzi che hai in mente. Un po’ come nella storia di Orwell Fiorirà l’aspidistra, in cui l’autore dice proprio, rispetto al suo protagonista: “Non era mai realmente progredito, si era semplicemente sfaldato in una serie di frammenti.”
Ecco, vedi. Frammenti. Tu lassù, io qui, siamo sfaldati e non progrediamo e tu non scrivi come vorresti. Dice.
Ho paura tu voglia farmi perdere tutto e di perdermi nel buio. Dico.
Oh, no. Non si tratta del buio. Funziona che tu ti fidi di me e io ti levo la luce puntata solo su te stesso, per far si che tu non sia solo uno spettro ma che abbia tutte le tue dimensioni per poter scrivere. Dice.
Che poi è soggettivo. Altra causa di blocchi, è studiato, può essere la depressione, o un momento di difficoltà economica, o una malattia, o la pressione del risultato da raggiungere. Ogni difficoltà porta a credere che esprimersi sia impossibile. Ma io alle liste che riassumono l’esistenza non credo, anzi, mi innervosiscono. Il bello poi è che ognuno funziona in modo particolare e queste situazioni critiche invece, in alcune persone, generano l’opposto, ossia un fiume di parole.
Scrivere quindi significa essere completi? Dico.
Io so tutto di te, tu di me sai poco perché io sono il sé da scoprire. Scrivere significa rivelarmi; nella ricerca dell’ ombra, tu crei le connessioni tra i pezzi di noi per poter dare spazio alla scrittura. Dice.
Mmh. Dico.
Guardami. Dice.
Abbasso lo sguardo nel buco. L’odore fresco di legno sembra essersi affievolito, mi avvicino e mi siedo sul bordo. Guardo dentro e non vedo più i miei piedi, un effluvio pungente, acre, dolciastro mi intasa le narici.
Muovo le gambe e un liquido si increspa.
Hai visto? Dice.
Cos’è? Dico.
Come cos’è? Inchiostro. Dice.
Inchiostro? Dico.
Tu mi parli, ti distrai dal riflesso di te stesso, del risultato, del giudizio altrui e guardi giù e mi vedi e nascono infinite possibilità di sentire. È arrivato il momento di venire quaggiù con me. Se vuoi salvarti. Dice.
Levo le mani dal bordo e mi lascio scivolare, il piede inizia a pulsare. Il nero mi ingloba, il liquido è tiepido e scivolo giù, la pelle si colora e la mano inizia a farmi male; respiro e sono dentro al buco, ricoperto d’inchiostro.
Il blocco dello scrittore si supera immergendosi nei luoghi che rifiuti di te, che sai di non poter manipolare, non tenendo la luce puntata solo su te stesso, non c’è niente da raccontare in superficie. Dice.
Fluttuo, non vedo più nulla, il dolore si irradia dal piede, si infila tra la pelle e tra i muscoli, il braccio è intorpidito e un’ infinita tristezza mi solletica il respiro; la mano formicola, inizia a muoversi e trasforma l’inchiostro in parole e, finalmente, il cuore non preme più.
Poi devo dire che ho fatto una cosa che non mi aspettavo. Dal 15 Novembre fino al 7 Dicembre, a Roma, presso Palazzo Merulana, ci sarà una mia mostra fotografica, pensata e realizzata insieme a mia madre, la vera fotografa tra i due. La mostra si chiama “Tracce” ed è un equilibrio fragile tra natura e urbanizzazione, o forse un disequilibrio violento tra urbanizzazione e natura.



Questo testo non “parla del” blocco dello scrittore: ci porta dentro il suo meccanismo. Il piede che sbatte, la mano che non sente dolore, il cuore che invece preme: il corpo è anestetizzato, la parte viva è altrove. L’ombra che abita il buco non è un nemico, ma la parte di sé che conosce la verità e rifiuta le “parole vuote”, quelle scritte solo per sentirsi a posto con la coscienza.
L’immagine del buco pieno di inchiostro è il passaggio più potente: finché resti sul bordo, resti frammentato; quando ti lasci cadere, arrivano sia il dolore sia le parole. Il testo dice, con grande lucidità, che il blocco non è solo mancanza di ispirazione, ma rifiuto di immergersi nei luoghi di sé che non si possono controllare. E la chiusura è durissima ma onesta: in superficie, davvero, non c’è niente da raccontare.
Leggerti è come lasciarsi scivolare senza freni; si scende nel profondo, si risvegliano sussurri antichi, sensazioni ataviche e si intuiscono cose mai intuite.