Benvenuto a te che leggi.
SottoZero per questa uscita agostana mette un punto alla memoria e va a capo.
I ricordi possono torturare come veri e propri boia con tanto di lama che sfiletta la carne, riducendoci in piccoli pezzi giorno dopo giorno, mai integri nel presente. Così sto studiando la memoria e il suo impietoso funzionamento, oggi vi condivido qualcosa che ho trovato.
Poi tutto torna alla temperatura di sempre, sempre ogni due settimane, sempre il giovedì.
Arrivo al bar, quello dietro casa a piazza Dante. Prendo posto vicino allo scrittore Alessandro Piperno e mi fermo un attimo in piedi con la mano sulla sedia. Mi guardo intorno. In realtà lui non mi conosce, mi siedo a un tavolo subito dopo il suo. Lo faccio sempre.
Lui ha una pipa in bocca, due libri vicino al computer, una penna e tutti i giorni scrive lì seduto. Mentre io spero che, per osmosi, sedermi vicino a lui mi faccia essere un po’ scrittore. Alla fine devo dire che mi immergo così tanto quando sono lì che dimentico il mondo intorno, mi formicolano le mani e le guance mi diventano rosse e riesco a scrivere. Ma è concentrazione, lui è al massimo è un astruso motivo del mio intelletto che mi dà il via.
Voglio capire cos’è e come si forma un ricordo. Mi portano il caffè prima che lo chieda perché qui lo sanno quello che bevo. Guardo Piperno e inizio a scrivere anche io.
Partiamo dalla parola “ricordo”. Scopro che viene dal latino recordari, formato dal prefisso re- e da cor ossia "cuore", si riteneva che la memoria risiedesse nel cuore. Questo mi fa, in ordine, spostare la tazza con il caffè verso il bordo del tavolo, aggiustare il sedere sulla sedia e grattare la testa. Qualche parte di me lo sapeva già, parti inconsce intendo. Piperno non si accorge del mio movimentarmi, non credo mi abbia mai notato, dico proprio visto nel senso fisico. Potrei essere un figurante, come le centinaia di persone festose e agitate che gravitano nel locale mentre lui scrive.
Chiedo un altro caffè, il primo l’ho bevuto senza accorgermene.
Per le neuroscienze invece il ricordo è una traccia mnestica, una rete di immagini, sensazioni, rappresentazioni che il nostro cervello conserva nel tempo o decide di scartare in pochi secondi.
Il cervello è come un ragno che tesse la sua rete e decide cosa tenere e cosa no.
Ora, mi viene in mente che potrei cambiare il nome SottoZero in La tela del ragno, ma no, non funzionerebbe, i ragni al freddo muoiono.
Il sole si alza sopra gli alberi della piazza e illumina il tavolo. Inizia a fare caldo e il mio secondo caffè bollente che intanto è arrivato mi fa sudare un po’. L’odore della pipa di Piperno mi arriva fresco di tabacco e, mi sembra, di cacao o qualcosa di tostato che si perde tutto intorno e manda via l’odore di strada che c’è qui fuori.
Insomma, scopro poi che i ricordi si creano grazie a diversi tipi di memoria. Li riassumo a modo mio per dare un’idea. A meno che non ne abbiate congelate alcune, dovreste averle ancora calde tutte queste tipologie:
1) Episodica: Esperienze personali di vita del passato, per lo più legate a dati emotivi o sensoriali. A questa attingo per SottoZero se ho capito bene.
2) Semantica: Mera memorizzazione di notizie specifiche, come quando studi.
3) Operativa: La classica memoria che si usa sul lavoro. Incameri informazioni e le applichi trattenendole il tempo necessario; sembra si riescano a trattenere cinque-sette informazioni contemporaneamente.
4) Procedurale: È la memoria “fisica”. L’utilizzo di azioni apprese che non richiedono una rievocazione cosciente; guidare, mettere le scarpe, accendersi una sigaretta (io non fumo).
Qui potete scegliere:
Piperno alza la testa e mi guarda. La sua pipa sbuffa in aria un’altra nuvola di fumo. Lo sto fissando e non ci avevo fatto caso. Butto subito la testa sul mio computer sperando non se ne sia accorto. Forse dovrei dirgli vedi Alessandro, tu sei come dentro The Truman Show quando io sono qui, mentre la tua vita si snoda su una rete di parole ordinate, forti, impostate da una mente programmata per scrivere e che usa ogni tipo di memoria, che razionalizza, edita, fuma, appunta, studia, io ti guardo. Ecco, capisci, a me questo dà speranza come se tu fossi dietro un cartonato come protagonista di un documentario di una mia possibile vita e io stessi per rinascere a mollo nell’universo dietro a quel cartone. Perdonami Alessandro, non sono pazzo ma nelle vite di alcuni altri mi capita di cercare pezzi di me che non trovo più e tu hai una vita da scrittore, pure una pipa e vieni al mio stesso bar.
Ora penserete che, alla fine, l’ho tramortito e ora è segregato in casa, in stile Annie Wilkes. Qui dovreste aver sorriso, se qualcuno invece ha percepito un istante di inquietudine o dubbio, anche solo una frazione di secondo, me lo faccia sapere.
Di Piperno ho letto “Con le peggiori intenzioni” e ho pensato alla mia famiglia. Sento le guance arrossarsi dalla concentrazione.
Ogni qualvolta viviamo un’esperienza, ecco, ad esempio quando leggiamo un libro o ascoltiamo il racconto di un amico, o anche situazioni molto più potenti, milioni di neuroni nel nostro cervello si svegliano connettendosi. Come stelle che si legano attraverso esplosioni di luce e iniziano a coesistere e a creare una rete; la rete si chiama “percorso sinaptico”, una specie di “Via Lattea” di memoria lastricata in risposta al nuovo stimolo. Il ricordo è il primo passo su questa strada. L’intensità del vissuto ci permetterà di andare avanti e rafforzare il ricordo o di fermarci lì e scartarlo.
Il libro di Piperno me lo ricordo. Altri libri no.
La cameriera fa accomodare due donne poco più giovani di me. Una delle due muove l’aria per avvicinare la sedia al tavolo. Senza poterlo evitare respiro un profumo che spazza via quello della pipa. Lo riconosco e l’olfatto inizia a correre indietro sulla “Via Lattea” alla velocità della luce verso il posto esatto dove un ricordo legato a quello stesso odore giace. Quel profumo diventa freddo sui gradini, il cielo con poche nuvole sopra le teste, le mani che picchiettano su altre mani che un po’ tremano perché tremi sempre un po’ quando ami e lo sai già e i capelli spessi e duri di lei che ti sfiorano il volto e la carne delle labbra che appena appena ti preme sulla bocca e pensi che la vita sia lì in quella gonna corta nera che sa inspiegabilmente di fresco anche se è estate. Muovo un braccio perché credo davvero di essere lì e mi formicolano le mani, ma faccio cadere il cucchiaino che avevo tolto dalla tazzina e il ricordo si polverizza nel mio universo personale e svanisce e sono di nuovo qui. Guardo Piperno solo un istante, scrive.
Perché il ricordo di quel bacio è rimasto e quello di decine, centinaia di altri baci invece è svanito?
Forse perché la memoria risiede nel cuore.
O forse per le connessioni sinaptiche accese da un’emozione potente, da un coinvolgimento sensoriale speciale capace di rafforzarle. Quel ricordo resterà lì ogni giorno più lontano nel tempo, sospeso in una galassia di altri ricordi più o meno pronti ad essere evocati o spenti per sempre.
Mi ero dimenticato di avere un piccolo occhio di bue sul tavolo. La marmellata arancione albicocca cola da un lato come una grossa goccia di ambra, la lecco e mangio tutto l’occhio di bue. Mando giù il fondo del caffè amaro in tempo perché si mischi con la dolcezza della marmellata e guardo ancora Piperno che ora, con la pipa in mano, fissa il suo schermo con le mani ferme. Io chiudo il computer e lo metto via.
Voglio andarmene, non sono capace di concentrarmi come lui. Con me funzionano così i ricordi: sovrastano, distraggono e pilotano lontano dal presente frantumando la concentrazione. Faccio per pagare.
Vai già via? Dice la cameriera.
Sì, devo andare a lavoro. Dico.
Mi sorride, le sorrido. Guardo Piperno che scrive.
Lui con il suo scrivere è tutto d’un pezzo, qui, adesso e non se ne va a spasso nel tempo. O forse sa solo gestirsi. Io invece mi allontano spezzettato tra passato e presente.
Ho una sola possibilità per non perdermi tra tutti i pezzi ed è la mia Mont-Blanc magica. La tiro fuori insieme a un taccuino, li ho sempre entrambi in qualche tasca perché scrivere a mano mi fa sentire il presente, l’inchiostro è un’ancora che affonda nel qui e ora. Così nessuna memoria può spazzarmi via. In piedi mi appunto del mio corpo che si siede su una poltrona, l’oggetto del prossimo ricordo. E sono certo che andrà tutto bene, perché quando si scrive va sempre tutto bene.
Qui puoi condividere questo pezzo di memoria
Da ora in poi come chiusura lascio un ricordo caldo delle due ultime settimane, bello o brutto che sia.
Ho un tubo nero davanti agli occhi, l’acqua mi bagna le gambe e il sedere, mia figlia Amelia mi tiene le caviglie seduta su di me. Il ragazzo che controlla dice vai. Io vado. Siamo almeno a venti metri di altezza. Amelia mi guarda e ci lanciamo, è tutto buio tutte curve poi la luce e poi di nuovo buio sempre più veloci e l’acqua è ovunque. Amelia ha le braccia alzate mi sembra che stia gridando io mi sdraio per farla andare più veloce. Ultima curva e ci schiantiamo su un muro d’acqua fresca che ci avvolge. Per qualche istante mi manca respiro. Amelia è sballottolata tra le mie gambe e ha le mani sul viso. Mi serve qualche attimo per capire se ho fatto una sciocchezza, se sta per piangere o se è andata bene o se si è fatta male o se si è spaventata. Lei si alza in piedi, barcolla, si strizza gli occhi e si gira e ride con i denti più bianchi della Via Lattea. Papà! è stato pazzesco! Ancora! Dice.
La copertina è sempre e come sempre di Luigi Annibaldi!
E se Piperno rapisse te, tu non te ne sei accorto ma lui ti ha osservato e ha pensato di aver trovato in te un personaggio da studiare...
Comunque sei grande!💚
Per un attimo ho pensato rapissi Puperno 😂